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La terza cappella era dedicata alla Resurrezione e prima ancora alla Deposizione. Nel 1712 le due ultime Cappelle cambiarono ruolo e nome. Oggi in questa, architettonicamente simile alla prima, figura sull’altare una “Annunciazione di Maria” dell’urbinate Gianandrea Urbani (1626), sul soffitto “Il trionfo della Croce” di Domenico Giannotti e sulla parete di destra, entro una nicchia di pietra lavagna è collocato un gruppo marmoreo composto dal Cristo morto supino e dalla madre in piedi desolata: l’uno in marmo e l’altra in pietra. Veniva attribuito a Giambologna, ma documenti irrefragabili l’assegnano al fiorentino Giovanni Bandini (1540-1599), detto “dell’Opera”, cioè del Duomo di Firenze da cui passò al servizio del duca Francesco Maria II della Rovere in Urbino. Il monumento, collocato sulla sinistra della Cappella del Crocifisso, era stato creato per il sepolcro dello stesso duca, ma servì per il figlio. Fu spostato in questa Cappella nel 1794 durante i lavori diretti dal Valadier.
Una copia anastatica della grande Bibbia di Federico da Montefeltro Duca di Urbino, è qui esposta. Quella autentica, commissionata per la biblioteca ducale, lasciò la città nel 1657, quando il codice manoscritto e riccamente miniato giunse a Roma, dove è tutt'ora conservato, nella collezione della Biblioteca Apostolica Vaticana.
L'OPERA: Giovanni Bandini detto dell’Opera (Castello, FI - 1540-Firenze1599) PIETÀ 1597, marmo cm 185x210
La mirabile Pietà, autentica “icona” dell’Oratorio della Grotta, ma anche una delle immagini simbolo di Urbino, desta da sempre, proprio per le sue qualità artistiche, l’interesse degli studiosi. I due elementi problematici su cui si è principalmente dibattuto, l’autore e la sua originaria collocazione, sono ormai in maniera definitiva attestati con l’attribuzione a Giovanni Bandini detto dell’Opera e con il ritenere l’Oratorio la primitiva sede. Francesco Maria II della Rovere, ultimo Duca di Urbino, l’aveva fatto eseguire per il proprio sepolcro, ma è servito invece per il figlio Federico Ubaldo prematuramente morto a soli diciotto anni, nel 1623: lo confermano sia un’iscrizione un tempo nella parete di fronte alla Pietà, sia una lapide ancora in loco, che ricorda il duca, confratello e benemerito della Compagnia della Grotta, quel sepolcro «[..] ad ornatum requietorii sui erigendum curaverat […]». L’imponente scultura fu posta gli inizi del Seicento nella cappella del Crocifisso, collocata a sinistra dell’ingresso; incredibilmente illesa dopo la rovina della cupola del Duomo nel 1789, viene trasferita, nel 1796, nella cappella attigua, denominata per questo “della Pietà”. La candida salma del Cristo in primo piano sul sudario, la testa cadente inanimata, la chioma sciolta sparsa sul terreno tra le spine, hanno connotati di forte suggestione, quasi verista; sul retro si erge in piedi l’imponente figura della Madonna i cui tratti la descrivono in età avanzata, mentre stringe le mani e profondamente addolorata posa lo sguardo sul figlio. È evidente che la forza del dolore ha trapassato l’anima di Maria e così, non senza ragione, la possiamo chiamare più che martire, perché la partecipazione alla Passione del Cristo superò di molto, nell’intensità, le sofferenze fisiche del martirio: non esiste contatto fisico, ma solo la profondità dello sguardo della madre rivolto al figlio rafforza l’intimo legame.
da Anna Fucili, in Oratorio della Grotta della Cattedrale, a cura di Mons. Davide Tonti e Sara Bartolucci, Macerata Feltria 2016 - (sponsor pubblicazione Rotary Club di Urbino)